2. Together Alone

- Lyra?! -
La madre la chiamò dalla cucina e la ragazzina richiuse la porta di casa e la raggiunse.
- Stai uscendo? - Le chiese la donna, leggermente preoccupata e alla risposta affermativa della figlia sospirò brevemente. -Scommetto che stai andando di nuovo in ospedale. -
La ragazzina annuì di nuovo e la madre la guardò intensamente, incerta se essere preoccupata o commossa dal buon cuore della figlia che da più di una settimana andava tutti i giorni a trovare lo sconosciuto che aveva soccorso.
- Stai attenta, Lyra. Non affezionarti troppo a quell'uomo, non sai nemmeno chi sia, potrebbe anche essere un delinquente per quello che ne sappiamo. -
- Non credo proprio, mamma. Non ha l'aspetto di un criminale, anzi secondo me è una brava persona. Potrebbe essere la vittima di un assassino però... - Considerò la ragazzina. - Poverino, chissa cosa gli è successo per farsi tanto male. -
- Ancora non si è svegliato? - Chiese la madre, addolcendosi un po'.
Lyra scosse la testa tristemente.
- I dottori mi hanno detto che potrebbe morire... -
La donna smise di lavare i piatti e si tolse i guanti. Si avvicinò alla figlia e le carezzò il viso.
- Tu hai fatto tutto quello che potevi. Se non lo avessi trovato sarebbe morto sicuramente. -
- Lo so, ma non posso fare a meno di sentirmi triste per lui. È passata una settimana e nessuno è venuto a cercarlo, non sanno nemmeno come si chiama. -
- Non aveva documenti? -
- Pare di no. All'ospedale mi hanno detto che non sanno come abbia fatto a ridursi così. È scottato come se si fosse trovato in un incendio, ma ha anche ferite come se fosse precipitato dall'alto e anche qualcosa che non va alla testa, credo. Hanno detto che ha perso tanto sangue... Però con il fatto che ho solo dodici anni non mi vogliono dire molto. -
La madre la guardò, un po' triste e pensò che la figlia stava crescendo.
- Sai una cosa? Oggi vengo con te a trovare il tuo amico, così forse i medici con me parleranno. -
- Davvero mamma?! -
- Davvero. -

Eudial depose il mazzo di fiori gialli sulla lapide di marmo candido e sfiorò con un dito le lettere di bronzo come per convincersi lei stessa che quella era davvero la tomba di Giles, dell'uomo che amava come un padre.
Il pensiero della sua morte orribile che non era riuscita a evitare le spezzava il cuore. I vigili del fuoco non erano riusciti a trovare il corpo in mezzo alla devastazione del palazzo crollato, l'unica cosa che erano riusciti a trovare era stato il portafogli di Giles, risparmiato dal fuoco perché rimasto schiacciato sotto un pezzo di colonna in cemento armato. Al suo interno, piegata e rovinata dal calore, c'era la foto che lo ritraeva insieme a tutte loro ed Eudial vedendola era scoppiata di nuovo in lacrime.
Tera guardò da lontano la ragazza dai capelli rossi che era inginocchiata accanto alla tomba e rimase nascosta dietro al muro che separava la parte antica del cimitero da quella più recente in cui si trovava la tomba dell'Osservatore. Il gatto siamese sedeva accanto a Tera, pensieroso e con la coda avvolta intorno alle zampe, ma si alzò quando la ragazza si mosse, dirigendosi verso la parte antica.
- Dove vai? - Le chiese, camminandole al fianco. - Credevo che volessi salutarlo. -
Tera scosse debolmente la testa.
- Non posso. Non ne ho alcun diritto, sono stata una stupida a venire qui. -
- Non dire così, gli volevi bene. -
- È colpa mia se è morto. Se non fossi arrivata io, ora starebbe bene. Come posso avvicinarmi a Eudial e a Xini e guardarle ancora in faccia? Come posso andare a piangere sulla sua tomba? Non ne ho il diritto, gatto, te l'ho detto. -
- Cosa farai allora? -
Tera si fermò a guardarlo.
- Non lo so. Potrei tornare al Consiglio, ma non credo che ci tengano particolarmente a riavermi fra loro. Hanno Buffy Summers e sono certa che agli Osservatori non interessi più il mio destino... Suppongo che andrò in giro a eliminare vampiri finché non sarò uccisa a mia volta. In fondo sono una Cacciatrice, questo è il mio destino e sono stata una stupida a pensare di poterlo cambiare. Quello scemo si sbagliava, è stupido voler bene alla gente. Se ami qualcuno, l'unica cosa che può succedere è perderlo e soffrire. -
- Restare soli è peggio, credimi. E poi a volte non puoi fare a meno di amare. Voler bene a certe persone viene quasi naturale, non possiamo evitarlo. -
- Pulcioso, tu sei già morto, vero? È molto doloroso? -
Valerius si leccò la punta della coda, pensierosamente.
- Non è certo una cosa piacevole, soprattutto morire tra le fiamme, ma di solito non muori bruciato, soffochi per il fumo oppure ti crolla qualcosa addosso. Nel mio caso sono stato schiacciato da una trave del tetto, spero che anche per Giles sia stata una cosa veloce, ma vista l'esplosione credo di si. La cosa peggiore per me è stata dopo, cinquecento anni di solitudine... Ma per lui non sarà così, puoi credermi! Quando ho tentato di ucciderlo, dall'altra parte del confine lo aspettavano molte persone. Non è solo. E sono certo che lui non vorrebbe saperti da sola. Per questo verrò con te. -
- Cosa? -
Il gatto la fissò con i suoi penetranti occhi verdi.
- Qualunque cosa deciderai di fare, io ti seguirò, considerala una promessa che faccio a Rupert Giles. E poi non intendo separarmi dall'unica persona con cui posso parlare. -
- Sei proprio scemo, lo sai? - Gli disse con indifferenza, riprendendo a camminare in fretta, ma Valerius notò che la voce le tremava un po' e aveva gli occhi lucidi. La raggiunse correndo nell'erba umida di rugiada e le saltò su una spalla. Tera non protestò.

Lyra condusse la madre lungo i corridoi dell'ospedale e salutò una delle infermiere che incrociarono. La donna si fermò e le sorrise.
- Sei tornata anche oggi, vedo. E hai portato tua madre? Beh, sarai contenta di sapere che il tuo amico sta meglio. -
- Dice davvero?! -
L'infermiera annuì.
- Ieri sera si è svegliato dal coma e il dottore ha detto che non è più in pericolo di vita. -
Lyra emise un grido di gioia, prima di ricordarsi che era in un ospedale e si scusò, imbarazzata, poi iniziò a fare domande alla donna.
- Ha detto come si chiama? Come sta? Guarirà completamente?! -
- Ehi, calmati. Ancora non ha parlato con nessuno, sta ancora molto male e i medici ancora non sanno se i danni che ha subito sono irreversibili. Se aspetti qualche minuto potrai vederlo, comunque. Ora il dottore lo sta visitando, ma quando avrà finito potrai entrare e nel frattempo, se vuole, tua madre potrà parlare con il medico. -
Lyra guardò la madre che annuì in risposta alla muta domanda della figlia.
Dopo alcuni interminabili minuti, la porta della stanza si aprì, lasciando uscire un medico in camice bianco che salutò Lyra e la madre con aria seria. La ragazzina lo lasciò a parlare con la madre e spinse la porta delicatamente, scivolando nella stanza. Si avvicinò al letto, un po' intimidita e si accorse che l'uomo che aveva soccorso era sveglio e la stava guardando con un'espressione quasi sperduta.
Lyra andò a sedersi sulla sedia accanto al letto e lo salutò con un sorriso timido.
- Ciao. Ti sei svegliato. -
L'uomo sorrise debolmente.
- Ciao... - Sussurrò in risposta, e dal modo in cui pronunciò quella parola, Lyra intuì che non doveva essere italiano.
La ragazzina stava per fargli qualche domanda, quando si accorse che la stava fissando con uno sguardo strano, a metà tra lo sperduto e il disperato.
- Chi sei? - Le chiese esitando leggermente.
- Oh, è vero, scusa, non mi sono nemmeno presentata. Mi chiamo Lyra e sono quella che ti ha trovato. Eri pieno di sangue, mi hai fatto prendere un colpo... -
- Allora non ti conosco? -
Lyra lo guardò perplessa.
- No. Non ti avevo mai visto prima di una settimana fa. Ma ora sai il mio nome. Tu invece come ti chiami? -
La ragazzina si accorse che la sua domanda lo aveva fatto intristire di colpo e si chiese perché. La risposta le arrivò dopo pochi secondi.
- Non lo so. - Disse lo sconosciuto. - Non riesco a ricordare nulla. Il medico ha detto che dipende dalle ferite alla testa. -
Lyra lo guardò a bocca aperta.
- Nulla nulla? Nemmeno il tuo nome? -
- No, neanche quello. Prima, quando ti ho vista, ho pensato che potevi essere mia figlia o qualcosa del genere... -
- Ma è terribile! - Disse, prima di rendersi conto che avrebbe dovuto cercare di consolarlo invece di dire ovvietà ricordandogli soltanto i suoi problemi.
D'impulso gli prese una mano e l'uomo la guardò, sorpreso.
- Senti, - gli disse - non devi preoccuparti! Ora non ricordi niente, ma stai ancora male, vedrai che appena starai meglio ti tornerà anche la memoria! Stai tranquillo, vedrai che andrà tutto bene e facciamo così: finché non ti ricorderai il tuo, ti troverò io un bel nome. -
Lui la guardò, stupito, poi il suo volto si rasserenò e le sorrise gentilmente.
- Va bene, grazie. -