3. Lonely Stars of the Same Sky

- Lyra, non stancare troppo il signore. - Disse la madre della ragazzina, entrando nella stanza. - Il dottore ha detto che ha bisogno di molto riposo per riprendersi. -
Giles guardò la donna che era appena entrata: non la conosceva, ma la somiglianza con la ragazzina con cui aveva parlato fino a quel momento era evidente.
- Mi chiamo Sofia e sono la madre di Lyra. - La donna confermò la sua supposizione con quelle parole e gli porse la mano.
- Temo di non essere in grado di presentarmi, mi dispiace. - Le rispose con un sorriso di scusa. - Ma sua figlia ha promesso di trovarmi presto un nome. -
Sofia lo guardò, vagamente sorpresa da quella risposta, ma si tranquillizzò, intuendo che la figlia non aveva sbagliato a dire che secondo lei quell'uomo era una brava persona. Sembrava gentile e tranquillo, si disse nel vedere come rispondeva alle domande invadenti di Lyra. Si chiese cosa gli fosse successo. Il medico le aveva detto che si era trovato sicuramente in mezzo a un incendio, ma non c'erano stati incendi nei dintorni negli ultimi tempi e aveva anche altre ferite che non dipendevano dalle fiamme: numerose contusioni in tutto il corpo e una strana lesione cerebrale che non sembrava essere stata causata né dal fuoco né da un colpo ricevuto. Secondo il medico era un miracolo che una emorragia del genere potesse essersi arrestata da sola e che non avesse causato altri danni oltre alla perdita di memoria. Il dottore non era stato in grado di dire se l'amnesia sarebbe stata permanente oppure no e Sofia si rese conto che anche l'uomo ne era consapevole. Nel parlare con Lyra, lo sconosciuto cercava di non lasciar trasparire i suoi sentimenti, ma Sofia poteva vedere lampi di terrore che trapelavano nel suo sguardo di tanto in tanto e capì che era molto agitato.
- Lyra, - disse dolcemente alla figlia. - ora andiamo, potrai tornare domani. Se non le dà fastidio, naturalmente. -
Giles le sorrise.
- Nessun fastidio, anzi mi fa piacere, grazie. -
Lyra si alzò e si avviò alla porta insieme alla madre.
- A domani allora, ti troverò un bel nome, vedrai! -

Madre e figlia uscirono e Giles chiuse gli occhi, sentendosi prendere dal panico.
La sua mente era vuota, completamente vuota, come se il suo passato non fosse mai esistito e quel vuoto lo terrorizzava. La visita della bambina lo aveva divertito, ma gli aveva anche fatto venire in mente un pensiero angosciante: quando l'aveva vista, aveva creduto per qualche secondo che fosse sua figlia, ma lui aveva una figlia? C'era una famiglia che lo aspettava da qualche parte? Qualcuno che era in ansia per lui e che non sapeva cosa gli fosse accaduto?
Qualcuno che potesse dirgli chi era, qualcuno che potesse aiutarlo a ricordare... sempre che fosse possibile. Il medico non gli aveva dato molte speranze, anzi gli aveva detto che era fortunato ad essere vivo e in grado di pensare più o meno lucidamente dopo quello che gli era successo.
Già, ma cosa gli era successo?
Respirò a fondo per calmarsi e cercò di ricapitolare tutto quello che sapeva. Tanto per cominciare era un uomo tra i quaranta e i cinquanta anni d'età, era decisamente inglese, ma riusciva a capire e a parlare l'italiano piuttosto bene. Forse viveva in Italia da qualche tempo, si disse. Attualmente si trovava in ospedale, ma non sapeva come ci fosse arrivato. Medici e infermieri gli avevano detto che era stato trovato una settimana prima da una ragazzina in un frutteto accanto a una strada di campagna. Forse era stato investito o spinto fuori da un'auto in corsa a giudicare dai lividi e dalle contusioni, ma non erano stati in grado di dirgli come o dove si potesse essere procurato le scottature e l'emorragia cerebrale che gli aveva fatto perdere la memoria.
Inoltre aveva un polso fratturato già da prima dell'incidente e uno strano segno sulla schiena, una specie di tatuaggio a forma di sole che secondo le infermiere stava scomparendo poco a poco.
Aveva anche un tatuaggio vero, una specie di simbolo strano all'interno dell'avambraccio sinistro. Guardarlo gli dava una sensazione di disagio, ma non sapeva spiegarsene il motivo e non aveva idea se il simbolo avesse un qualche significato oppure no.
Si sentiva debole ed esausto e l'effetto degli antidolorifici si stava attenuando, ma era piuttosto restio al pensiero di dormire, aveva la sensazione che gli incubi fossero in agguato per afferrarlo non appena si fosse addormentato.
Cercò di pensare a qualcosa di piacevole e gli venne in mente l'immagine di un prato pieno di narcisi gialli che dondolavano lentamente al vento. Non aveva idea di che posto fosse o quando lo avesse già visto, ma era un'immagine confortante e Giles si abbandonò al sonno pensando all'ondeggiare rilassante dei fiori gialli.

Xinuxunil lasciò che l'acqua gelida del mare le lambisse le caviglie e ripensò a un tempo quando sensazioni come il freddo o il caldo non la toccavano. Quando nemmeno il dolore poteva sfiorarla...
Si voltò indietro a guardare la traccia delle sue orme sulla sabbia bagnata e la vide sparire poco a poco, cancellata dalle onde. Anche se l'acqua era fredda, quel giorno il sole splendeva e il cielo era di un azzurro brillante, ma quel colore vivo le sembrava spento, così come il verde tenero delle piante e il blu intenso del mare. Da quando Ripper era morto, il colore del mondo le sembrava morto insieme a lui e anche quei posti familiari le sembravano alieni.
Dopo il funerale era tornata all'Argentario, in quei luoghi che aveva amato tanto, ma aveva l'impressione che anche quella parte del suo passato fosse morta con Giles. Il pensiero che una volta, meno di un anno prima, era stata una dea splendente di luce le sembrava assurdo. Ora si sentiva solo una donna sperduta e sola, atrocemente sola.
Per la prima volta da quando era diventata un essere umano, il pensiero di avere un corpo mortale non le sembrò più una condanna, ma quasi una benedizione. Prima o poi avrebbe condiviso la sorte di Ripper ed era un po' una consolazione pensare che la morte, che li aveva separati tanto crudelmente, alla fine li avrebbe riuniti.
Ma quella piccola consolazione non poteva impedire che il cuore le sanguinasse al pensiero che non avrebbe più potuto stringere a lei il corpo di Ripper, che lui non l'avrebbe più guardata con i suoi occhi pieni d'amore, che non l'avrebbe più baciata.
E se lui era morto era solo perché lei era stata tanto debole da lasciarsi possedere da un demone. Glasya era penetrata in lei senza che Xinuxunil se ne accorgesse, sfruttando i varchi creati a sua insaputa dalla vicinanza di Morfran qualche mese prima. Il demone che aveva posseduto Spike si stava preparando a possedere lei e doveva averle fatto qualcosa per facilitare la possessione.
Lei non se ne era accorta e questa sua incapacità era costata la vita a Ripper.
Sapeva che anche Tera ed Eudial si sentivano in colpa per non averlo potuto salvare, ma lei credeva che l'intervento delle due ragazze non avrebbe cambiato nulla.
Se Ripper era stato preso da Gauk, la colpa era esclusivamente sua, per non aver saputo resistere a Glasya.
Xini sedette sulla sabbia, senza nemmeno accorgersi dell'acqua che la inzuppava e la faceva tremare di freddo e nascose il viso tra le mani, disperata.

Eudial roteò la spada, decapitando il vampiro con un colpo netto, poi raccolse la borsa delle armi e si diresse verso un'altra parte del cimitero.
- Eu, non pensi che possa bastare per stanotte? - Chiese Spike, raggiungendola.
La ragazza scosse la testa.
- No, non sarà mai abbastanza, mai. Non finché persone innocenti moriranno a causa di demoni e vampiri. -
- So come ti senti, ma non puoi distruggere da sola tutto il male del mondo. -
- Sono la Cacciatrice, devo almeno tentare. -
- Ma non puoi sconfiggere la morte. -
Eudial lasciò cadere la spada.
- Forse avrei potuto salvarlo, Spike. Se fosse stato un vampiro anche lui, forse ora sarebbe vivo. Avremmo potuto vampirizzarlo e poi restituirgli l'anima... -
Spike la afferrò per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.
- Non avrebbe voluto e poi sai anche tu che non sarebbe servito a niente. Il demone avrebbe potuto prenderlo lo stesso e poi anche i vampiri possono morire, tu dovresti saperlo bene. Il fuoco ci uccide, nemmeno un demone o un vampiro avrebbe avuto scampo in quell'incendio. È orribile da accettare, lo so, ma non avremmo potuto fare nulla per salvarlo. -
Eudial si strinse a Spike,scoppiando a piangere.
Dal giorno del funerale non aveva fatto altro che combattere demoni e vampiri, senza concedersi un attimo di tregua, nel vano tentativo di sfuggire al dolore. Da quel giorno, Tera e Valerius erano spariti senza lasciare tracce e Xini era tornata all'Argentario, ma lei non se ne era preoccupata. Non si era fermata a pensare a loro, così come aveva fatto di tutto per non pensare a Giles, ma ora la loro assenza le pesava. Fino a poco tempo prima si era sentita parte di una famiglia, ma senza Giles, ognuno aveva preso la propria strada, allontanandosi dagli altri e a lei era rimasto solo Spike.
Sollevò il viso al cielo e guardò le stelle che splendevano sopra la loro testa, brillanti contro le cime dei cipressi che le incorniciavano.
- A Giles sarebbe piaciuto il cielo di stanotte. - Sussurrò Eudial. - Credi che possa vederlo? -
Il vampiro le sfiorò una guancia con una carezza delicata.
- Forse adesso ne fa parte. -