14. Not Even a Star

Earh Donovan guardò la stanza che gli avevano assegnato, piuttosto disgustato: non era troppo sporca, ma aveva un aspetto cadente e trascurato che gli faceva temere che le pareti gli sarebbero crollate addosso durante la notte.
Non che quella fosse la sua preoccupazione più grande al momento, non dopo tutte le situazioni assurde in cui si era trovato nel giro di pochi giorni.
Aveva l'impressione che fossero passati anni dal momento in cui Rupert Giles era entrato nel suo studio ed era stato costretto ad ammettere l'esistenza di cose incredibili, come dei, demoni e magia, eppure, pensò con amarezza, in fondo non era cambiato nulla: prima aveva una sola figlia che lo detestava, ora ne aveva due.
Tirò via il copriletto polveroso e si stese, cercando di dormire: più tempo passava nell'oblio, meno avrebbe dovuto pensare ai pericoli in agguato, pronti a distruggergli la vita per l'ennesima volta.
Si girò inutilmente fra le lenzuola, ma non appena cercava di chiudere gli occhi, non poteva fare a meno di rivedere le figure vestite di bianco dei fanatici assassini che cercavano di fargli la pelle per riprendersi la loro dea, e di sentire le esplosioni delle sfere di fuoco magico dirette contro l'aereo che inevitabilmente nella sua immaginazione si sovrapponevano alle bombe che gli avevano impedito di tornare a prendere Admina e Thera tanti anni prima.
Alla fine gettò da parte le coperte e si alzò dal letto per frugare nel borsone che gli era stato procurato dai colleghi di Rupert Giles. Anche quello era un altro mistero: chi diavolo era quella gente in grado di procurare un aereo, vestiti e il necessario per tutti loro con un preavviso così breve? Agenti segreti?
Almeno avevano gusto nella scelta dei vestiti e non badavano a spese, pensò, notando la stoffa di ottima qualità di una delle camicie che gli avevano messo nella valigia.
Recuperò un cambio di abiti e un asciugamano dal borsone e si diresse verso il bagno, una doccia gli avrebbe schiarito le idee, poi avrebbe esplorato quella casa per cercare di capire chi diavolo fosse Rupert Giles e con che razza di gente avesse vissuto sua figlia fino ad allora.

Seihoshi salì in punta di piedi la scala che portava in soffitta e sorrise lievemente nel vedere che la stanza era vuota. Accese la luce, trascinò uno dei materassi da allenamento nel punto più luminoso e lo usò per sedersi dopo aver scelto alcuni libri dagli scaffali. Il cane e Lili, che avevano continuato a seguirla per tutta casa, si acciambellarono tranquillamente accanto a lei, apparentemente dimentichi di essere stati nemici giurati fino al giorno prima.
La ragazza aveva recuperato la traduzione fatta da Donovan, aveva trovato altri libri che parlavano di Xinuxunil nella libreria di Giles e iniziò a leggerli: voleva sapere.
Avrebbe semplicemente potuto aspettare di parlare con l'Osservatore il giorno dopo, ma si era resa conto che Rupert Giles era già sotto pressione a causa di Hope e probabilmente non avuto il tempo di spiegarle tutto nei dettagli. E poi temeva che potesse non essere completamente sincero e nasconderle le cose che avrebbero potuto ferirla o farla soffrire.
Lei voleva sapere tutto.
Iniziò a leggere la leggenda che parlava di Xinuxunil e rabbrividì quando arrivò alla descrizione del rituale necessario per evocare la dea: affinché Xinuxunil potesse manifestarsi, una vita doveva essere sacrificata.
"Se Xinuxunil era nel mio corpo, allora sono stata sacrificata alla dea per evocarla? Ed è stato Rupert a farlo? Però qui c'è scritto che l'anima della vittima viene scacciata per sempre dal corpo in cui si incarna la dea, se è andata così come faccio ad avere ancora una coscienza?"
Seihoshi sospirò: aveva pensato che in quei testi avrebbe trovato le risposte a tutte le sue domande, ma non era affatto così. Anzi, ora aveva soltanto altri dubbi in più. Improvvisamente Xinuxunil non le appariva più come la dea benevola che aveva creduto fino a poco prima.
Ora aveva paura di quello che avrebbe potuto rivelarle Giles.
"Se lei è una dea sanguinaria che vuole la vita dei suoi seguaci, che tipo di persona può essere uno che la ama così tanto? Posso davvero fidarmi di lui?"
Cercò di scacciare quei pensieri tetri e iniziò a cantare sottovoce una delle sue canzoni, come per consolarsi e farsi coraggio.
"Posso fare altrimenti? Non lo conosco benissimo, è vero, ma sono certa che non sia una persona cattiva e quando quei fanatici hanno cercato di ucciderci, ha protetto tutti noi..."
Chiuse il libro che stava sfogliando, prendendo una decisione: prima di giudicare avrebbe chiesto spiegazioni a Rupert Giles e gli avrebbe chiesto di chiarire ogni suo dubbio.

Donovan sentì il canto sommesso, appena prima di entrare in soffitta e si fermò sulla soglia, incerto se entrare lo stesso, ignorando la presenza di Seihoshi, o tornare indietro senza farsi sentire.
Rimase a guardare la ragazza che cantava piano china su un libro, con i capelli rosso oro che le nascondevano il viso, un gatto nero in grembo e un cane addormentato al suo fianco, circondata dalla luce della lampada come da un'aureola e quell'immagine per un momento gli sembrò una scena uscita da un dipinto antico.
Poi il cane aprì un occhio e iniziò ad abbaiare. Seihoshi sobbalzò appena per la sorpresa e smise di cantare, alzò il viso dal volume che stava leggendo e vide Donovan.
- È lì da molto, professore? - Chiese, carezzando il muso del cane per zittirlo.
- Sono appena entrato. - Mentì Donovan. - Sto cercando di capire in che gabbia di matti sono capitato... -
- Anche io sono in cerca di risposte. -
- Ne hai trovate? -
- Per ora no. -
La ragazza chiuse il libro e si alzò in piedi per rimetterlo a posto sugli scaffali.
- Alcuni di questi volumi sembrano molto antichi, - commentò Donovan. - ma quasi tutti trattano di argomenti sovrannaturali... Mi piacerebbe sapere cosa diavolo fanno in questa casa. Non sarà una specie setta? Non appena sarà possibile porterò via di qui le mie figlie. -
- Sempre che vogliano venire, sull'aereo non mi sono sembrate esattamente in buoni rapporti con lei... -
- Devono solo abituarsi. Herta non sapeva che prima lei avevo avuto un'altra figlia, ma è solo una bambina, le passerà in fretta. E Thera prima o poi capirà che non avevo idea che fosse sopravvissuta ai bombardamenti. Se lo avessi saputo sarei tornata a prenderla a qualunque costo. Davvero. -
- Le credo. - Seihoshi gli sorrise. - In fondo è riuscito a salvarmi dai Lug anche se non mi conosceva affatto. -
- Non avevo alcuna intenzione di farlo, glielo assicuro. - Rispose Donovan, scontroso e Seihoshi ridacchiò, divertita.
- Oh, lo so. Ma alla fine io sono qui, sana e salva, è questo che conta. -

Mimete guardò la porta chiusa della stanza che le era stata assegnata da Anya e rabbrividì, terrorizzata. Qualche ora prima, Rupert Giles era tornato a casa e l'aveva interrogata guardandola duramente, quasi con disgusto, e, pur non avendola trattata male, qualcosa in lui la spaventava a morte. Aveva l'impressione che se fosse successo qualcosa di male a Hope, Rupert Giles avrebbe potuto diventare molto pericoloso.
Anche la ragazza dai capelli scuri che era rimasta vicino all'Inglese mentre Mimete gli raccontava singhiozzando tutto quello che lei e Hope avevano fatto per conto di Ethan Rayne le era sembrata pericolosa come un'arma carica pronta a colpire.
Però la persona che Mimete temeva più di tutti ancora non si era fatta viva, anche se ne sentiva chiaramente la presenza in casa.
Eudial sarebbe venuta per vendicarsi, ne era certa e lei non poteva evitarlo in nessun modo. Molti anni prima Mimete aveva cercato di ucciderla sabotando i freni della sua auto e ora era arrivato il momento di pagare per quello che aveva fatto. E come se non bastasse, adesso Eudial sembrava essere diventata molto più forte di quanto non fosse stata l'ultima volta che l'aveva vista.
Quando era andato via, Giles aveva chiuso a chiave la porta della stanza in cui la aveva rinchiusa, ma a Mimete la solida porta di legno sembrava ancora troppo fragile. Si chiese se avrebbe dovuto spingere i mobili contro l'uscio per barricarsi dentro, ma sapeva benissimo che non sarebbe servito a nulla: non c'era modo di evitare l'incontro con Eudial, poteva solo sperare che Rupert Giles la ritenesse abbastanza utile da tenere a bada la furia omicida della strega.
Si raggomitolò sul letto ricominciando a piagnucolare.
Cosa era successo? Perchè tutto era andato a rotoli proprio sul più bello? Lei e Hope si stavano divertendo così tanto e se solo fossero riuscite a evocare il drago, Ethan Rayne sarebbe stato tanto contento da soddisfare ogni loro capriccio. E invece ora era rimasta sola, in pericolo, senza la sua migliore amica e senza poteri.
Non era giusto, davvero non era giusto.

Eudial si svegliò poco prima dell'alba e scivolò fuori dal letto senza svegliare Tera che dormiva profondamente accanto a lei, stringendo in una mano la coda di Valerius. Il gatto, pur costretto in una posizione scomodissima, dormiva tranquillo a pancia all'aria facendo ogni tanto le fusa nel sonno, mentre Midnight, acciambellato sul tappeto accanto al letto, aprì un occhio nel sentir muovere Eudial per poi richiuderlo nel constatare che non c'era nulla di insolito.
La ragazza si sfiorò la croce d'argento che portava al collo e si ripromise di scusarsi con Tera per essere stata tanto brusca con lei. Da quando l'altra Cacciatrice aveva pronunciato l'incantesimo di protezione sul suo ciondolo e glielo aveva consegnato, si era sentita subito meglio. Prima, oltre al dolore fortissimo, era anche immensamente triste, disperata e furiosa, come se nella sua mente fossero rimasti solo sentimenti negativi che la trascinavano sempre più a fondo nella disperazione, senza che ci fosse una via di scampo.
Sapeva che Tera odiava ogni forma di magia e che utilizzare un incantesimo doveva esserle costato molto, perciò le era doppiamente grata e si sentiva un po' in colpa. Negli ultimi tempi aveva i nervi a fior di pelle e si era sorpresa spesso a rispondere acidamente o a reagire in maniera esagerata pur non avendone l'intenzione.
In silenzio aprì la finestra e salì sul davanzale, poi saltò giù e usò appena i suoi poteri per librarsi delicatamente fino a terra. Non appena toccò il suolo fu costretta ad appoggiarsi a uno degli alberi del giardino perché le girava la testa e si sentiva tremare le gambe.
- L'incantesimo parassita dei Lug deve avermi indebolita molto più di quanto pensassi... - Sussurrò tra sè. - Forse dovrei chiedere consiglio a Giles... -
Si interruppe, mordendosi il labbro inferiore nel ricordare le parole orribili che aveva gridato all'Osservatore sull'aereo e sospirò, afflitta.
Stavano succedendo troppe cose tutte insieme e aveva l'impressione di soffocare: l'essere orribile che opprimeva Tokyo, il ritorno di Mimete, il bambino di Tera che la costringeva ad affrontare i vampiri da sola, la sparizione di Hope, i Lug... Era troppo e lei si sentiva sfinita e inadeguata.
Raggiunse il punto sfondato della recinzione del giardino che permetteva di scendere fino al mare e si rifugiò sulla piccola spiaggia dove amava restare a riflettere e guardare le stelle all'inizio di tutto, poco dopo aver incontrato Giles per la prima volta, prima di Tera, di Xini, di Valerius e di Hope, anche prima di Spike.
Erano solo lei e Giles, Osservatore e Cacciatrice a combattere da soli contro i vampiri. Sembrava tutto più semplice, allora.
Forse lo era...
O forse no?
Anche a quel tempo c'erano stati momenti duri e sofferenza. Quando si era innamorata di Spike, sembrava tutto sbagliato e si era sentita un mostro, una persona orribile, eppure alla fine era andato tutto bene, no?
Doveva solo resistere e forse si sarebbe sistemato tutto anche adesso, si disse.
Non poteva permettersi di crollare, se la situazione era difficile per lei, per Giles era sicuramente molto peggio.
Se gli avesse parlato dell'incantesimo parassita dei Lug, l'Osservatore si sarebbe preoccupato per lei, forse le avrebbe impedito di combattere al suo fianco e lei non poteva permetterlo. Con Tera che aspettava un bambino e Seraphina e Xini lontane, chi avrebbe combattuto al fianco di Giles, se anche lei avesse ceduto? Avrebbe dovuto convincere Valerius e Tera a tacere e sperare che l'incantesimo sulla croce d'argento reggesse abbastanza a lungo.
Guardò il mare, nero come inchiostro sotto il cielo punteggiato di stelle e poi alzò lo sguardo nella speranza di poter esprimere un desiderio.
Si passò una mano sul viso: c'erano tante lacrime, ma nemmeno una stella cadente.