6. Reunion

Earh Donovan alzò la testa dalla traduzione e si stupì di vedere che fuori dalla finestra era buio pesto. Senza quasi rendersene conto aveva lavorato per ore di fila.
Il libro che gli era stato dato da Rupert Giles era un pezzo unico e parlava di un leggendario culto di cui lui non aveva mai sentito parlare prima di allora nonostante le sue vaste conoscenze degli scritti in quella lingua. Il documento che aveva tradotto parlava nei dettagli delle abitudini e dei segreti di una setta chiamata Lug che adorava una antica dea Azteca chiamata Xinuxunil.
Donovan si chiese perché l'inglese avesse tanta fretta di avere quella traduzione. Era un documento storicamente importante e probabilmente un articolo sulle riviste di settore gli sarebbe valso qualche premio accademico, ma non gli sembrava una cosa di vita o di morte.
Il professore stampò una copia della traduzione e se la infilò nella tasca della giacca prima di uscire dall'ufficio. Con una fitta di preoccupazione si rese conto che Herta non era nella biblioteca.
Nonostante quello che aveva detto a Giles, lui teneva a sua figlia.
A entrambe le sue figlie, si corresse mentalmente e di nuovo si chiese se fosse tutto un sogno.
L'inglese, quella traduzione assurda, Thera.
Thera che non era morta tanti anni prima.
Thera che lo odiava...
Si costrinse a non pensarci. Immergersi nel lavoro lo aveva aiutato a dimenticare qualunque cosa che non fossero gli antichi simboli tracciati sulla pergamena e a non pensare ad altro: era sempre stato così e probabilmente quello era il motivo che lo spingeva a passare la maggior parte del suo tempo al lavoro.
Arrivò nella sala principale della biblioteca e vide che la bibliotecaria era andata via, ma gli aveva lasciato in bella vista sul bancone un biglietto.
Raccolse il foglio di carta e lo lesse: Herta stava bene e per quella notte sarebbe rimasta a casa della donna che era insieme a Rupert Giles perché aveva fatto amicizia con la figlia. In fondo al biglietto erano segnati i numeri di telefono dell'inglese e di Sofia.
Donovan accartocciò il foglio, irritato: che diritto aveva quel Giles di portare via sua figlia senza dirgli nulla?
Però era sollevato nel leggere che Herta stava bene e si rese conto all'improvviso che se era insieme a Giles, sarebbe stata anche insieme a Thera, insieme a sua sorella...
Il suo primo impulso era stato quello di andarla a riprendere immediatamente, ma cambiò idea. Forse era meglio darle il tempo di accettare quello che aveva scoperto prima di andare da lei. Si infilò in tasca il foglietto accartocciato.
Si sentiva confuso e indeciso e quella sensazione non gli piaceva affatto. Per calmarsi tirò fuori la traduzione e cominciò a rileggerla lentamente.
Si rese conto che nel testo c'erano descrizioni geografiche piuttosto accurate che gli ricordavano qualcosa. Prese un atlante e lo aprì alle pagine che rappresentavano l'America centrale ed esaminò attentamente la carta geografica: lì non c'era un posto che corrispondesse al santuario della dea.
Inizialmente aveva pensato che gli adoratori di una dea Azteca dovessero trovarsi vicino ai luoghi di origine degli Aztechi, ma i Lug dovevano essersi spostati altrove.
Rilesse la traduzione e constatò che verso l'inizio parlava di un lunghissimo viaggio in mare che li aveva portati oltre i confini del mondo solo grazie al potere della dea.
Esaminò di nuovo il passaggio con la descrizione del santuario e la sensazione che fosse un posto familiare si rafforzò. Era altamente improbabile che potesse essere tanto vicino, ma decise di verificarlo ugualmente: sfogliò l'atlante fino a raggiungere le tavole dell'Italia e segnò alcuni punti di riferimento con una matita.
Si stupì nell'accorgersi che la sua ipotesi corrispondeva al millimetro alle descrizioni del testo: era davvero possibile che l'antico santuario dei Lug si trovasse sul promontorio dell'Argentario?
Controllò la cartina e notò che in auto avrebbe impiegato poche ore a raggiungere il punto indicato.
Che idiozie, pensò, sicuramente si trattava di una coincidenza e lui avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa e ad andare a letto.
Però era certo che non sarebbe riuscito a dormire e prima ancora di poterne capire il perché, era in auto, diretto verso il mare.

Giles sedette sui gradini davanti alla casa di Sofia e guardò il cielo: faceva caldo, ma le stelle erano coperte da nuvoloni scuri che preannunciavano il temporale. Era tardi, molto tardi e ormai probabilmente dormivano tutti: le due bambine bionde, Lyra e Herta che, dopo aver passato metà del pomeriggio a litigare per il possesso dei rami di un albero, avevano scoperto di poter essere amiche, Tera che non aveva più detto nulla di Earh Donovan e che si era chiusa in camera con Midnight, Eudial che era rimasta nel furgone insieme a Spike e Sofia.
Giles aveva aspettato che la donna si addormentasse stretta a lui prima di alzarsi dal letto senza svegliarla.
Dormivano tutti, tranne lui e il gatto che era acciambellato sulle sue gambe.
Con una mano gli sfiorò il pelo e Valerius alzò il muso a guardarlo.
- Come hai fatto a trovarmi? -
Giles gli mostrò la pagina spiegazzata di una rivista.
- Ho speso un capitale in annunci su tutti i giornali, hai un bel debito con me ora. -
- Soldi buttati. Perché mi hai cercato? Non ne vale la pena. -
- Devo chiederti una cosa. E' importante. -
Valerius lo guardò perplesso. Quando il guardiano del museo lo aveva chiuso in una stanza, aveva temuto che i Lug lo avessero ritrovato, ma era rimasto stupito nel vedere arrivare Rupert Giles qualche ora dopo.
- Cosa aspetti allora? -
Giles lo studiò, serio. Ormai aveva iniziato a perdere la speranza di ritrovare Valerius con gli annunci su giornali e riviste, aveva cominciato a pensare che fosse morto, perduto per sempre, quando era arrivata la telefonata del custode del museo.
Il cellulare aveva iniziato a squillare nel momento meno opportuno, mentre Herta e Lyra erano impegnate a bisticciare in cima a un albero e Tera era tornata insieme a Sofia, apparentemente calma. L'Osservatore avrebbe voluto parlarle, ma in quel momento era suonato il telefono e il custode del museo di un paese abbastanza vicino gli aveva detto di aver ritrovato il suo gatto.
Giles lo aveva detto solo a Sofia e la donna lo aveva esortato ad andare a prendere Valerius e che lei avrebbe pensato a tutto il resto.
Il gatto gli era saltato in braccio tremando non appena lo aveva visto e Giles non aveva potuto fare a meno di notare che portava al collo un ciondolo con il simbolo di Xinuxunil, ma Valerius non aveva detto nulla durante tutto il tragitto fino alla casa di Sofia.
Finora solo la donna sapeva del ritrovamento di Valerius e Giles le aveva chiesto di non dire nulla alle ragazze. - Valerius, se non sarai sincero, ti ucciderò con le mie mani. -
Il gatto trasalì e lo guardò, inquieto. Perché Giles era così serio, quasi minaccioso?
- Perché dovrei mentirti? -
- Hai mai fatto del male a Tera? -
Valerius lo guardò dritto negli occhi.
- Sai che darei la vita per lei. -
- Eppure non hai esitato a usare un incantesimo per cancellarle i ricordi. Lo neghi, forse? -
- No, non lo nego. -
- Perché? -
- Ho cancellato un errore che la avrebbe fatta soffrire. -
Giles lo afferrò per la collottola e lo sollevò bruscamente.
- Un errore?! Quale errore? Ti ho visto mentre combattevo contro le sfere aliene! Eri umano e l'hai portata via dalla battaglia. Cosa è successo? Cosa le hai fatto?! -
Valerius non distolse lo sguardo mentre gli rispondeva.
- Le ho salvato la vita. L'ho amata. E poi le ho fatto dimenticare quello che non potrà mai avere. Non potrei mai ferirla, Rupert. -
Giles lo mise giù delicatamente. Gli credeva.
Non chiese altro su quello che era successo durante la battaglia: a lui bastava sapere che Valerius non le avesse fatto del male, il resto avrebbero dovuto risolverlo da soli.
- Non volevo tornare finché non avessi potuto darle l'amore che merita, ma ormai non importa più. - Disse tristemente e Giles lo guardò senza capire perché fosse tanto abbattuto.
- Perché dici che non importa? -
- Io sono un gatto. Non posso sperare di essere diverso da questo. -
- Ma durante la battaglia eri umano! -
- Era solo una cosa temporanea e non ho alcun controllo su di essa. E poi... - Si interruppe.
- Cosa? -
- Non hai visitato quel museo, vero? -
- Avrei dovuto? -
- Solo se ti interessava vedere una stanza con qualche cianfrusaglia appartenuta al grande e crudele mago Valerius Da Silva. -
- Hanno una sala dedicata a te?! -
- Si. E non solo. Hanno anche il mio corpo. -
- Il tuo corpo?! -
- Esatto. Valerius Da Silva è morto molti secoli fa. Ora resta solo Valerius il gatto. Vedere il mio cadavere me lo ha fatto capire. Inutile illudersi. -
Giles lo fissò in silenzio. Non sapeva cosa dire per consolare quel dolore quieto ma profondo. Istintivamente gli carezzò la testa e Valerius scoppiò in una risata amara.
- Vedi? Non lo avresti fatto con un essere umano. Io sono un gatto che si può consolare con una carezza e una grattatina sotto al muso. -
- Io... Scusa. -
- Non importa. Sono un gatto, va bene così. A proposito, sfilami il collare. -
Giles prese il medaglione di Xinuxunil e il dischetto di pietra e li osservò.
- Dove li trovati? -
- L'amuleto era mio... Di Valerius Da Silva quando era ancora vivo... Puoi tenerlo tu se vuoi. Il medaglione l'ho rubato ai Lug. -
- Cosa?! -
- La tua dea è sigillata lì dentro. Quei fanatici le hanno teso una trappola. -
Giles lo guardò, allibito. Era per questo che uno dei Lug gli aveva sbattuto in faccia la rivista con l'annuncio?
- Xini è in questo medaglione? -
- Sì e ti consiglio di non liberarla per il momento. Se la liberi, liberi anche il suo potere e lo sentiranno. Se i Lug ci trovano, siamo morti. Se lo scoprono i fratelli di Xinuxunil, siamo morti lo stesso. -
Giles annuì e si fece scivolare il ciondolo intorno al collo insieme all'amuleto di Valerius. Per il momento era meglio non fare nulla: se i Lug avessero scoperto che Xini era di nuovo libera, avrebbero potuto fare del male a Seihoshi.
- Grazie per averla salvata, Val. Mi dispiace di aver dubitato di te... -
Valerius agitò la coda come per dire che non importava e si acciambellò sulle ginocchia di Giles.
- Allora, cosa è successo da quando sono andato via? Suppongo che abbiate vinto la battaglia perché il mondo è ancora intero. Raccontami tutto. -
Giles gli rivolse un sorriso ironico.
- Spero che tu non abbia sonno. - Gli disse e iniziò a raccontare.